Richard Jewell
E’ delicato, Eastwood, in questo affresco della tragedia umana in cui precipita un’anonima famiglia della Georgia nel 1996. Il tema delle etichette facili, appiccicate già con il vuoto con cui si straparla oggi, è trattato con lo sguardo allibito del focolare domestico, devastato dalla ferocia tranquilla, quasi inconsapevole, del Governo e dei Media, che, dopotutto, fanno il proprio dovere, senza troppa fatica, senza troppe analisi, senza troppa ricerca. Nessuno, in fondo, ce l’ha su con il pacioso trentenne che rispetta le autorità, a parte il rettore del campus che dà il via all’intero capovolgimento degli eventi, prima orientati in un senso, e poi in quello opposto. Opportunismo, incapacità, arroganza, abuso, invidia, superficialità, con annessi e connessi, sono dietro ogni semplice frase, o piccolo gesto, di comprimari e comparse dipinti a toni di grigio più scuro; mentre l’impotenza di un giovane uomo, che non coglie la differenza tra Istituzioni e uomini che vi lavorano, stigmatizza la dolorosa distorsione della società, in cui le parole proclamate non solo non devono essere prese alla lettera, come spesso avrebbe anche senso che fosse, ma assolutamente non possono e non devono essere prese neppure sul serio.